AAA. Nuovo progetto abitativo in corso.
Un bel progetto, che mi stupisce e mi lusinga vederlo nascere a milano: il CoHousing.
Qui alcune informazioni che sul cohousing che forse possono interessare ad alcuni di noi o a nostri amici che hanno in mente nuovi progetti e cercano differenti soluzioni per crearli....o per chi semplicemente sta cercando casa.
Il cohousing non è un utopia ma l’esperienza quotidiana di migliaia di persone in tutto il mondo che hanno scelto di vivere in una comunità residenziale a servizi condivisi.
Il cohousing nasce in Scandinavia negli anni 60, ed è a oggi diffuso specialmente in Danimarca, Svezia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone.
Tipicamente consistono in un insediamento di 20-40 unità abitative, per famiglie e single, che si sono scelti tra loro e hanno deciso di vivere come una “comunità di vicinato” per poi dar vita – attraverso un processo di progettazione partecipata - alla realizzazione di un ‘villaggio’ dove coesistono spazi privati (la propria abitazione) e spazi comuni (i servizi condivisi).
Le motivazioni che portano alla coresidenza sono l’aspirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane.
Interessati: http://cohousing.it/
Nel dettaglio di Milano: http://cohousing.it/content/blogcategory/3/24/
1 commento:
Mi piace il mondo della casa come luogo di incontro dove fare comunità, e mi piace sapere delle nuove soluzioni legate al concetto di unione e condivisione, all’abitare come esigenza ed aspirazione fondamentale dell’uomo, al tema del vivere oggi.
A Milano, al Padiglione d’Arte Contemporanea (www.comune.milano.it/pac) è possibile vedere fino al 18 giugno la mostra
“Less. Strategie alternative dell’abitare”.
Ci si rende conto come tanti spunti per il mondo dell’architettura emergano dall’arte contemporanea. Gli artisti, dalle loro posizioni privilegiate, defilate e libere, inviano segnali forse più incisivi, trasformano la denuncia in progetto. E così hanno dato forma all’istinto di sopravvivenza delle persone senza casa; hanno fatto architettura guardando al mondo dell’ibrido, dell’imperfetto, dell’incompiuto, hanno rappresentato l’idea di cellula, di microspazi, ascoltando le diverse voci provenienti dalle varie latitudini. Il risultato: una serie di modelli di microambienti capaci di prefigurare alternative possibili per vivere il mondo di domani.
Centrati su situazioni di disagio estremo, vere e proprie case per chi non ha casa sono le giacche a vento/sacchi a pelo/tende da bivacco e i parasite, ripari fatti di sacchetti di plastica, funzionanti grazie al riciclo dell’aria tiepida che esce dai sistemi di ventilazione. I prototipi abitativi ad assetto variabile, iperfunzionali, facili da montare, realizzati in materiali rinnovabili e riciclabili. Le strutture ideate per favorire lo svolgersi di riti quotidiani, dalla doccia alla lettura del giornale, il tutto sotto forma di tende. Gli ironici prototipi in legno, resina e fibra di vetro che sono dei veicoli abitazione su scala umana, destinati ad un contesto di vita mobile ed attiva.
Al tema dell’abitare come ridefinizione degli spazi vitali è collegato l’ironico sedile a forma di reggiseno, ogni coppa una nicchia destinata ad accogliere con accompagnamento di musica. Procedendo ad una decostruzione del concetto di architettura inteso come sistema basato su un assetto normativo, quindi autoritario ecco l’anticelebrativo Arc de triomphe individuel , che azzera l’idea di monumentalità e dice che il centro del mondo siamo noi. E ancora la mappa della Milano multietnica, che propone implicitamente di ripercorrere la città sperimentando la sua identità in continua evoluzione...........
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